Ogni settimana tenevo due aule, il martedì e il giovedì mattina.
Tra le mie alunne, Maddalena aveva una particolare autodisciplina, che la portava a seguire puntigliosamente le mie istruzioni su come utilizzare un programma di impaginazione.
Una di quelle mattine, dopo aver finito un esercizio di formattazione del testo, mi si avvicinò e mi disse di non aver capito un passaggio.
Guardai l’orologio: era tardi e, proprio quel giorno, lo sapevo, non ci saremmo potute fermare di più perché le postazioni servivano all’insegnante di web design per la lezione successiva.
Le proposi quindi di riprendere il discorso da un’altra parte, offrendole un caffè a casa mia, dove non avremmo avuto limitazioni di sorta nell’uso del PC.
Tra le mie alunne, Maddalena aveva una particolare autodisciplina, che la portava a seguire puntigliosamente le mie istruzioni su come utilizzare un programma di impaginazione.
Una di quelle mattine, dopo aver finito un esercizio di formattazione del testo, mi si avvicinò e mi disse di non aver capito un passaggio.
Guardai l’orologio: era tardi e, proprio quel giorno, lo sapevo, non ci saremmo potute fermare di più perché le postazioni servivano all’insegnante di web design per la lezione successiva.
Le proposi quindi di riprendere il discorso da un’altra parte, offrendole un caffè a casa mia, dove non avremmo avuto limitazioni di sorta nell’uso del PC.
Non appena fummo da sole, mentre stavo avviando il computer, sentii che il suo silenzio era carico di tensione.
Senza voltarmi, le chiesi come stava.
- Sono stata informata del fatto che Egidio non è più… sotto osservazione.
Non sapevo chi fosse Egidio né tantomeno dove e da chi fosse “osservato”, ma era evidente che Maddalena ne era piuttosto turbata. Mi voltai.
Aveva lo sguardo assente. Le iridi azzurre più cupe, come solcate da un fiume di angoscia.
Un mostro che riemerge dal passato. Che palle! – pensai.
- Ho incontrato Egidio tre anni fa, all’ufficio postale, mentre facevo la coda per pagare le bollette. Era un ragazzo alto, robusto. Dopo un paio di battute sue e di risatine mie sull’efficienza del servizio ci presentammo… e ci demmo appuntamento per il venerdì successivo. Dovevamo andare a mangiare una pizza.
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- Ci siamo frequentati da amici per circa un paio di mesi. Poi lui mi ha chiesto se ci mettevamo insieme. Io non sapevo se mi piaceva proprio come dovrebbe piacere un fidanzato ma decisi di provare. Non ho mai avuto molta fortuna con i maschi e lui mi sembrava gentile. A tutti e due piaceva camminare nei boschi.
File. Imposta pagina. Margini. Superiore: 5 cm. Inferiore: 6,2 cm. Sinistro e destro: 4,4 cm. Rilegatura: 0. posizione rilegatura: sinistro.
- Un giorno che stavamo mangiando un gelato gli chiesi perché avesse quello strano nome. Egidio mi rispose che era la versione italiana di Gilles, che è un nome francese. Sua nonna da parte di padre era francese ma sua mamma non aveva voluto accontentarla (pare che le due si odiassero) e allora si era arrivati al compromesso della traduzione.
- Beh, aveva ragione la nonna – dissi – Gilles suona molto meglio di Egidio.
- È vero. Ma non ho mai avuto il coraggio di dirglielo. Lui venerava sua mamma ed era meglio non criticarla.
- Un giorno che stavamo mangiando un gelato gli chiesi perché avesse quello strano nome. Egidio mi rispose che era la versione italiana di Gilles, che è un nome francese. Sua nonna da parte di padre era francese ma sua mamma non aveva voluto accontentarla (pare che le due si odiassero) e allora si era arrivati al compromesso della traduzione.
- Beh, aveva ragione la nonna – dissi – Gilles suona molto meglio di Egidio.
- È vero. Ma non ho mai avuto il coraggio di dirglielo. Lui venerava sua mamma ed era meglio non criticarla.
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- Hai conosciuto sua madre? – chiesi.
- Sì, una volta mi portò con sé a trovarla in una clinica dove andava a periodi, quando la depressione tornava a farsi sentire. Quando mi vide, quella donna mi sorrise in un modo così strano che mi venne la pelle d’oca. E allora avrei dovuto capire che il mio corpo stava mandando i segnali giusti. Sarei dovuta scappare via.
- Sì, una volta mi portò con sé a trovarla in una clinica dove andava a periodi, quando la depressione tornava a farsi sentire. Quando mi vide, quella donna mi sorrise in un modo così strano che mi venne la pelle d’oca. E allora avrei dovuto capire che il mio corpo stava mandando i segnali giusti. Sarei dovuta scappare via.
Se fosse così facile ascoltare il proprio corpo saremmo divini, sorella. Se la ragione la smettesse di spaccarci in due saremmo in paradiso.
- Ma sei rimasta.
Conoscevo il copione a memoria. Era sempre lo stesso. Per me e per loro.
- Già.
- E ti sei beccata la merda.
- Non era la merda. Era l’orrore.
Maddalena unì le mani e le infilò tra le cosce, quasi a volerle scaldare. Rabbrividì. Io avevo la gola secca.
Non sapevo se volevo stare lì ad ascoltare qualcosa che dal fondo della mia coscienza incominciava a far capolino e puzzava di disfatta, di putredine, di oscurità. Ma il copione è davvero sempre lo stesso.
- Ti ho già detto che ci piaceva passeggiare nei boschi, no? Una mattina di luglio Egidio mi propose una di quelle escursioni. Voleva portarmi in Carso a vedere una grotta che aveva trovato qualche settimana prima. Secondo lui era un posto magico.
Avevamo dormito insieme, la notte precedente, ma non avevamo combinato granché. Lui proprio non ce la faceva. Io pensai che anche quella sera, come già altre volte, doveva essere stato stanco.
Così andammo a Log, un paesino dal quale si imbocca il sentiero che conduce a una selva nella quale si trova questa famosa grotta.
Visto il caldo di quei giorni era piacevole camminare tra le fronde. Chiacchieravamo e ogni tanto Egidio mi indicava qualche insetto che attraversava il nostro cammino o che lui riusciva a vedere sulle cortecce. Una delle nostre passioni in comune erano i coleotteri… guarda, me ne sono fatto tatuare uno qui, sul polso.
Maddalena tirò su la manica della camicia. Lo scarabeo aveva riflessi turchesi. Era decisamente un buon lavoro.
- Dopo un’ora che camminavamo mi sembrò che fossimo ritornati sui nostri passi. Così gli dissi: Egidio, ma qua non siamo già stati prima? Lui mi guardò e…
E poi mi risvegliai nella grotta. Avevo un forte mal di testa e se provavo a piegare il collo vedevo le stelle. Ma è un modo di dire, perché lì dentro era buio pesto. Spostai una gamba e toccai qualcosa che non mi sembrava pietra. Mi ritrassi istintivamente. Il cuore mi martellava nel petto. Ero terrorizzata. Poi mi ricordai che nella tasca destra dei jeans dovevo avere un accendino.
Maddalena rimise le mani in mezzo alle cosce.
Io mi accesi una sigaretta.
- La fiammella illuminò l’ambiente quel tanto da farmi capire che ero nella grotta e che non ero sola. A meno di un metro da me c’era un bambino, avrà avuto 4 o 5 anni. Era disteso a pancia in giù e aveva gli occhi aperti. Mi si bloccò il respiro.
Anch’io non riuscivo più a respirare, tanto che dovetti spegnere la cicca e aprire la finestra. L’aria primaverile entrò insieme al suono di un clacson.
- Era morto?
Lo domandai solo per far finire il prima possibile quella storia.
- No, non sembrava.
Serrai i denti. Sentivo la nausea che aumentava mano a mano che nella mia mente si faceva più nitida l’immagine di quello che poteva essere accaduto.
Siamo nel più profondo e oscuro degli inferi, sorella. Qui dovevo dunque arrivare. Qui la mia natura mi ha chiamata infine a vedere cosa può fare una madre ai propri figli.
- Si chiamava Francesco. Me lo disse sottovoce, come se avesse paura a farsi sentire. Io ero sbigottita e speravo che nell’accendino ci fosse abbastanza gas, altrimenti non sarei più uscita da là sotto.
Francesco restava immobile, disteso al suolo. Vidi che aveva le braccia legate dietro la schiena e mi avvicinai perché volevo liberarlo. Ma quando gli fui accanto notai una cosa strana: dall’orecchio si apriva una striscia nera larga circa tre dita che girava tutta intorno al collo. Era l’ombra o aveva la gola squarciata? Ma allora come riusciva a parlare?
Raggelata, a quattro zampe, di colpo i capelli mi si rizzarono sulla testa.
La voce era quella di un bambino ma non veniva dal bambino disteso a terra. Veniva da dietro le mie spalle.
Capii che non mi dovevo girare. Capii che dovevo fingere di credere che a parlare fosse quel povero corpicino legato come un capretto.
La voce di Francesco mi raccontò che era stato un bambino sfortunato perché lui e il suo papà avevano la stessa mamma. Lui aveva sempre creduto che fossero fratelli, invece, un giorno, la mamma aveva ordinato al fratello-papà di portarlo lontano e non farlo tornare mai più. Un po’ come fa la strega cattiva quando chiede al guardiacaccia di strappare il cuore a Biancaneve. E così, visto che alla mamma bisogna sempre obbedire, Francesco aveva seguito Egidio. Egidio era stato più fedele del guardiacaccia. Aveva eseguito puntigliosamente gli ordini della sua signora. Francesco aveva capito tutte queste cose da morto perché i morti sanno tutto.
Mentre ascoltavo questa storia atroce avevo spento l’accendino. Dopo l’ultima parola la voce e la mia speranza di rimanere viva scomparvero nel buio. Aspettai, sicura che ormai fosse arrivato il mio turno. Invece, dopo un tempo che mi sembrò lunghissimo, riaccesi la fiammella. Ero sola. Egidio se n’era andato. Davanti a me c’era solo un mucchietto d’ossa.
File. Salva con nome: Barbablù.
- Già.
- E ti sei beccata la merda.
- Non era la merda. Era l’orrore.
Maddalena unì le mani e le infilò tra le cosce, quasi a volerle scaldare. Rabbrividì. Io avevo la gola secca.
Non sapevo se volevo stare lì ad ascoltare qualcosa che dal fondo della mia coscienza incominciava a far capolino e puzzava di disfatta, di putredine, di oscurità. Ma il copione è davvero sempre lo stesso.
- Ti ho già detto che ci piaceva passeggiare nei boschi, no? Una mattina di luglio Egidio mi propose una di quelle escursioni. Voleva portarmi in Carso a vedere una grotta che aveva trovato qualche settimana prima. Secondo lui era un posto magico.
Avevamo dormito insieme, la notte precedente, ma non avevamo combinato granché. Lui proprio non ce la faceva. Io pensai che anche quella sera, come già altre volte, doveva essere stato stanco.
Così andammo a Log, un paesino dal quale si imbocca il sentiero che conduce a una selva nella quale si trova questa famosa grotta.
Visto il caldo di quei giorni era piacevole camminare tra le fronde. Chiacchieravamo e ogni tanto Egidio mi indicava qualche insetto che attraversava il nostro cammino o che lui riusciva a vedere sulle cortecce. Una delle nostre passioni in comune erano i coleotteri… guarda, me ne sono fatto tatuare uno qui, sul polso.
Maddalena tirò su la manica della camicia. Lo scarabeo aveva riflessi turchesi. Era decisamente un buon lavoro.
- Dopo un’ora che camminavamo mi sembrò che fossimo ritornati sui nostri passi. Così gli dissi: Egidio, ma qua non siamo già stati prima? Lui mi guardò e…
E poi mi risvegliai nella grotta. Avevo un forte mal di testa e se provavo a piegare il collo vedevo le stelle. Ma è un modo di dire, perché lì dentro era buio pesto. Spostai una gamba e toccai qualcosa che non mi sembrava pietra. Mi ritrassi istintivamente. Il cuore mi martellava nel petto. Ero terrorizzata. Poi mi ricordai che nella tasca destra dei jeans dovevo avere un accendino.
Maddalena rimise le mani in mezzo alle cosce.
Io mi accesi una sigaretta.
- La fiammella illuminò l’ambiente quel tanto da farmi capire che ero nella grotta e che non ero sola. A meno di un metro da me c’era un bambino, avrà avuto 4 o 5 anni. Era disteso a pancia in giù e aveva gli occhi aperti. Mi si bloccò il respiro.
Anch’io non riuscivo più a respirare, tanto che dovetti spegnere la cicca e aprire la finestra. L’aria primaverile entrò insieme al suono di un clacson.
- Era morto?
Lo domandai solo per far finire il prima possibile quella storia.
- No, non sembrava.
Serrai i denti. Sentivo la nausea che aumentava mano a mano che nella mia mente si faceva più nitida l’immagine di quello che poteva essere accaduto.
Siamo nel più profondo e oscuro degli inferi, sorella. Qui dovevo dunque arrivare. Qui la mia natura mi ha chiamata infine a vedere cosa può fare una madre ai propri figli.
- Si chiamava Francesco. Me lo disse sottovoce, come se avesse paura a farsi sentire. Io ero sbigottita e speravo che nell’accendino ci fosse abbastanza gas, altrimenti non sarei più uscita da là sotto.
Francesco restava immobile, disteso al suolo. Vidi che aveva le braccia legate dietro la schiena e mi avvicinai perché volevo liberarlo. Ma quando gli fui accanto notai una cosa strana: dall’orecchio si apriva una striscia nera larga circa tre dita che girava tutta intorno al collo. Era l’ombra o aveva la gola squarciata? Ma allora come riusciva a parlare?
Raggelata, a quattro zampe, di colpo i capelli mi si rizzarono sulla testa.
La voce era quella di un bambino ma non veniva dal bambino disteso a terra. Veniva da dietro le mie spalle.
Capii che non mi dovevo girare. Capii che dovevo fingere di credere che a parlare fosse quel povero corpicino legato come un capretto.
La voce di Francesco mi raccontò che era stato un bambino sfortunato perché lui e il suo papà avevano la stessa mamma. Lui aveva sempre creduto che fossero fratelli, invece, un giorno, la mamma aveva ordinato al fratello-papà di portarlo lontano e non farlo tornare mai più. Un po’ come fa la strega cattiva quando chiede al guardiacaccia di strappare il cuore a Biancaneve. E così, visto che alla mamma bisogna sempre obbedire, Francesco aveva seguito Egidio. Egidio era stato più fedele del guardiacaccia. Aveva eseguito puntigliosamente gli ordini della sua signora. Francesco aveva capito tutte queste cose da morto perché i morti sanno tutto.
Mentre ascoltavo questa storia atroce avevo spento l’accendino. Dopo l’ultima parola la voce e la mia speranza di rimanere viva scomparvero nel buio. Aspettai, sicura che ormai fosse arrivato il mio turno. Invece, dopo un tempo che mi sembrò lunghissimo, riaccesi la fiammella. Ero sola. Egidio se n’era andato. Davanti a me c’era solo un mucchietto d’ossa.
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